Istruzione dell’Eminentissimo Cardinale Vicario ai parrochi di Roma, sopra i complici ed aderenti degli [agli] eretici ed apostati¯

 

         Gli ammaestramenti che, per ordine del Sommo Pontefice Leone XIII, si danno ai parrochi, e per essi ai fedeli di Roma, metro­poli del mondo cattolico, evidentemente devono essere accolti con la massima venerazione e posti in pratica dai fedeli di qualsiasi città e Nazione. Onde, come cosa spettante al Supremo Magistero del Vica­rio di Gesù Cristo, riproduciamo qui, dall'Osservatore Romano n. 174, l’istruzione mandata ai parrochi di Roma dall'Eminentissimo Cardinale Rafaele Monaco La Valletta, Vicario di Sua Santità.

 

         La Santità di Nostro Signore Leone Papa XIII, Pastore supremo di tutta la Chiesa, ed in modo speciale di questa sua diletta Chiesa Romana, la quale in Lui e per Lui, secondo la divina disposizione, tiene il pri­mato della podestà ordinaria su tutte lo chiese dell'universo, ed è madre e maestra di tutti i fedeli (Concilio Lugdunense II e Vaticano [I]), siccome è fortemente rammaricato delle persecuzioni che dovunque oramai soffre la Santa Chiesa di Gesù Cristo, cosi è afflittissimo per gli sforzi che si fanno qui in Roma al fine di rapire dal cuore de' Romani il prezioso tesoro della Fede. Una delle cose che amareggiano l’animo paterno del Santo Padre, secondoché scorgesi dalla Lettera che si è degnato d'indirizzarmi sotto i 26 di giugno passato prossimo, è l'improntezza [la volontà d’importunare] con cui eretici di varie sètte sono venuti a stanziarsi qui in Roma, e vi fanno scuola di eresia, per pervertire questo popolo e per insidiare in ispecie la gioventù incauta e facile a piegarsi all'errore siccome al vizio.

         Purtroppo si avvera al presente quel che il Martire Cipriano scriveva al Santo Pontefice Cornelio, essere tale l'ardimento degli eretici, che osavano navigare fino alla cattedra di Pietro ed alla Chiesa principale, da cui l'unità sacerdotale trac la sua origine. Ma dall’altra parte vi è tutta la ragione a sperare, che abbia ad avverarsi quel che il Santo Martire subito soggiungeva, cioè che gli eretici non riflettono trattarsi di Romani, la cui fede è stata celebrata in tutto il mondo dall'Apostolo Paolo (Romani I, 8), sicché ad essi la per­fidia non trova accesso (Cypr. Ep. ad Corn. ed. Baluz, pag. 86).

         Sono veramente grandi gli sforzi che fanno in Roma, fin da quando fu essa tolta al regime temporale della Santa Sede, gli ere­tici ed i settari, coll’oro che ricevono in gran copia da' Paesi di ol­tremare. Oltre a parecchi templi, e sale di conferenze cui [che] eressero nelle vie più popolose quasi ad insulto, si sono aperte ben dieci scuole maschili e femminili, nonché alcuni convitti ed asili diretti da pro­testanti, con la mira ben palese di diffondere il veleno de' loro errori, insieme col pane e con gli aiuti materiali, di cui son larghi ai loro uditori e scolari, abusando della miseria sempre crescente in mezzo a questa popolazione. Ma a gloria di Dio, e ad onore dei fedeli di Roma, ho la consolazione di poter confessare pubblicamente, con San Cipriano testé mentovato [menzionato], che per quanto siano grandi e sopram­modo [moltissimo] seducenti questi sforzi ereticali, pure non riescono gran fatto nel loro reo intendimento: le loro conquiste sono scarsissime, e tra i Romani molto meno che fra le persone sopravvenute in Roma in questi ultimi anni. Ciò nondimeno e Romani, e quanti convengono da tutte [le] parti in Roma, versano in pericolo di perdere la Fede, dono preziosissimo e fondamento di tutti i beni celesti, se non sono pre­munìti contro le frodi e le seduzioni ereticali.

         È cosa veramente deplorevole che si abbiano a premunire i Ro­mani contro l’eresia protetta e favorita nella loro città, capo e cen­tro della Chiesa di Gesù Cristo. Ma poiché siamo costretti di veder profanata questa Città santa, e l'eresia alzar la testa sotto gli occhi del Maestro Infallibile della Fede, e provocare il popolo Romano alla ribellione contro la Chiesa Romana che ne forma il maggior vanto; ho giudicato debito del mio officio di richiamare alla memo­ria di tutti, che gli apostati, gli eretici e gli scismatici di qualsivo­glia setta, e con qualunque nome si chiamino, contraggono la sco­munica maggiore, riservata in modo speciale al Sommo Pontefice; ed ho stimato pur necessario di tracciare alcune norme, mercé le quali, coll’aiuto dei parrochi e de' confessori, i fedeli siano avvertiti de' loro doveri di fronte alle insidie lusinghevoli degli eretici.

         Queste norme sono state assoggettate, come è dovere, al supremo giudizio del Santo Padre; il quale, udito il parere di una Congrega­zione di Eminentissimi Cardinali miei colleghi, le ha sancite ne' termini seguenti.

         1° Incorrono nella scomunica maggiore, riservata al Papa tra le specialissime, tutti coloro i quali, anche senza l'animo di aderire all'eresia, e per solo rispetto umano, danno il loro nome alle sètte degli eretici di qualsiasi denominazione.

         A più forte ragione incorrono nella stessa pena, quelli che prendono parte alle funzioni acattoliche o servizii, come s'usa dire, ovvero ascoltano il predicante coll'animo di arrendersi a lui, quante volte, com'essi empiamente dicono, li persuada.

         3° Cosi pure incorrono nella medesima scomunica, quelli che, fattisi autori dell'altrui spirituale rovina, inducono in qualsivoglia modo e fanno andare o venire altri nelle sale e nei templi eretici ad udire le conferenze.

         4° E finalmente sono pure innodati [annodati, colpiti] della stessa pena, tutti coloro che pubblicano con le stampe gl'inviti alle sopraddette confe­renze, ed i temi delle medesime, a causa del favore che prestano con tale azione alla propagazione o alla conferma dell'eresia.

         È severamente proibito dì entrare per mera curiosità sciente­mente nelle sale e ne' templi protestantici nell'ora delle conferenze; e peccano pur gravemente tutti coloro che, per mera curiosità, ascol­tano le conferenze dei protestanti, ed assistono sia pure material­mente alle cerimonie acattoliche, e tutti quegli artisti che, anche solo per fine di lucro, vanno a cantare e suonare nei templi protestantici; e i tipografi, anche subalterni che, per non essere cacciati via dai loro capi, compongono i caratteri per la stampa dei libri degli eretici; con questo di più che, se trattisi di quei libri di eretici nei quali è insegnata e sostenuta l’eresia, anche i tipografi secondari incorrono nella scomunica maggiore riservata in special modo al Papa.

         Né da peccato mortale vanno scagionati gli architetti, appaltatori e capomastri, i quali prestano la loro opera, e lavorano per la co­struzione ed ornato di un qualche tempio protestante. Ma quanto ai muratori ed altri operai subalterni potranno essere scusati da pec­cato, purché nel fatto loro non vi sia scandalo, né si faccia il lavoro in disprezzo della religione cattolica. Ma sarà a tutta cura e dili­genza dei parrochi e dei confessori l'istruire questa povera gente, che anche da tale opera materiale è debito l'astenersi, quando il lavoro si ritenga comunemente come segno protestativo [di dichiarazione aperta] di falsa re­ligione; e quando l'opera stessa contenga qualche cosa che sola e direttamente significhi o riprovazione del culto cattolico od appro­vazione del riprovato culto ereticale; o quando consti ch'essi sono dagli eretici protetti o chiamati a lavorare in disprezzo della Catto­lica Religione; e poi in nessun caso è lecito d’intendere [avere la finalità] di cooperare al culto ereticale.

         Molto più finalmente [infine] si fanno rei di peccato enormissimo i padri e le madri che, veramente crudeli verso le anime dei loro figliuoli, mandano questi alle scuole protestantiche, e peggio anche se ad an­darvi li costringono. È evidente che questi tali genitori sono al tutto da riprovare e detestare nel loro misfatto, e deve procurarsene il ravvedimento in tutti i modi possibili, e frattanto devono essere tenuti lontano, come manifestamente incapaci ed indegni, dai Sa­cramenti, finché non abbiano ritirato i loro figliuoli da sì ree scuole.

         Anche i figliuoli per la cosa in sé considerata, certamente acce­dendo a tali scuole, sì fanno rei di grave peccato. Ma nel caso di vera coazione [in cui siano stati davvero costretti], il confessore, pesate le circostanze di persone e di fatto, adoperi verso loro con le regole da provati autori suggerite per simili contingenze.

         Sia cura dei reverendi parrochì di tener vive queste prescrizioni nella mente dei fedeli, e leggere questa istruzione nella Messa parroc­chiale o in altra funzione più frequentata nei dì festivi.

 

         Roma dal Vicariato, ai 12 di luglio 1878

 

                                                                                                         Rafaele Cardinale Vicario

 



¯ La Civiltà Cattolica, anno vigesimonono, serie X, vol. VII, anno 1878, pp. 474-477.